TORINO – Diciotto anni a Stephan Schmidheiny per disastro doloso. E’ questa la pena che la Corte d’Appello di Torino ha comminato all’imprenditore elvetico, patron della Eternit, azienda che produceva amianto e morte.
Inasprita dunque la sentenza rispetto a quella di primo grado, che aveva previsto 16 anni di carcere per Schmidheiny, sessantaseienne, unico imputato rimasto in vita dopo la morte, nello scorso aprile, del barone belga Louis De Cartier De Marchienne. La Corte ha inoltre disposto provvisonali per 20 milioni di euro alla Regione Piemonte e di oltre 30,9 milioni per il comune di Casale Monferrato. Una pena che si avvicina ai vent’anni chiesti dal pubblico ministero Raffaelo Guariniello.
Il giudice Carlo Oggè ha stabilito che Schmidheiny gestì la Eternit dal giugno 1976 al giugno 1986, passando per gli stabilimenti di Casale, in provincia di Alessandria (fino al giugno ’86), Cavagnolo, in provincia di Torino (fino al giugno ’86), Bagnoli, in provincia di Napoli (fino al 1985), e dal 1980 al 1984 Rubiera, in provincia di Reggio Emilia. L’imputato è stato quindi assolto per il periodo che va dal giugno del ’66 al ’76 per non aver commesso il fatto.
Le reazioni dei familiari delle vittime sono state composte ma, per quanto possivile, soddisfatte. Presente in aula Romana Blasotti Pavesi, 84 anni, che nella vicenda piange cinque familiari, tra cui il marito e una figlia. “Sono stravolta dalla stanchezza, ma finchè posso vado avanti”, ha affermato. Guariniello ha voluto esternare tutta la propria soddisfazione per una sentenza “che è un inno alla vita. È un sogno di giustizia che si avvera. Speriamo – ha affermato riferendosi all’Ilva – che si avveri anche a Taranto e in tutti i Paesi del mondo in cui si continua a usare l’amianto”.