Ci risiamo. E’ crisi di Governo. L’ora, aveva ragione Bagnasco, esigeva una sempre più intensa e stabile concentrazione di energie, di collaborazioni, di sforzi congiunti senza distrazioni, giorno e notte. Ed invece, da settimane, non si è fatto altro che discutere e litigare su sentenze e retroattività, su nuovi partiti, regole congressuali e metodi per indire le primarie.
Mentre l’economia e l’occupazione tardano a riprendersi, da aprile questo Governo non ha perso una sola occasione per regalarci incidenti di percorso, consulte di saggi, conclavi e pugnalate di ogni tipo. Tutto tranne le grandi riforme che, a gran voce, l’Europa ancora ci chiede e che, l’ennesimo Governo di larghe intese, è stato chiamato a fare.
Stento quasi a credere siano trascorsi solo cinque mesi, se provo a mettere in fila le istantanee che il Governo Letta ha regalato al mondo intero. Ma quel che è peggio è che pare – se provo ad ordinare tutti questi accadimenti – che tutti, nessuno escluso, fossero concentrati, fin dall’inizio, a “tirare a campare” senza distrarsi e farsi trovare impreparati in caso di nuova “chiamata alle armi”.
Dopo 154 giorni a Palazzo Chigi, Enrico Letta deve prendere in mano il pallottoliere per capire se il suo Governo è arrivato al capolinea. Letta bis, esecutivo di scopo, ritorno alle urne? Chissà si vedrà ma il fatto che Letta non si sia ancora dimesso, dopo lo “schiaffo” di tutti i Ministri del Pdl, mi spinge a pensare che questa non è una crisi di governo tradizionale, ma una ben più pericolosa, potenziale crisi istituzionale. Si rifletta. Prima che sia troppo tardi.
Il quadro generale, pur fra molte contraddizioni, si va sgretolando e sullo sfondo c’è un Paese in ginocchio che non ce la fa più e che, ancora una volta, sarà chiamato a pagare il conto.
Da mesi sentiamo parlare di abolizione dei privilegi della casta, di restituzione degli stipendi dei parlamentari, di soppressione dei finanziamenti pubblici ai partiti, di riduzione del numero dei parlamentari e dei senatori, … bla, bla, bla! Chiacchiere.
Da martedì prossimo il nostro Paese rischia di ritrovarsi con l’aliquota ordinaria dell’Iva più elevata tra i principali competitors dell’area dell’euro. L’aumento dell’Iva produrrà un disastroso effetto domino, con un incremento dell’inflazione, una pesante diminuzione dei consumi e un rincaro generalizzato dei listini al dettaglio, specie nel settore alimentare e dei prodotti trasportati su gomma. E noi italiani comuni, per dirla in breve, tra aumento dell’Iva e il pagamento della seconda rata dell’Imu sulla prima casa, saremo chiamati nei prossimi 3 mesi di questo, amaro 2013, a versare nelle casse dello Stato altri 3 miliardi e 300 milioni di euro.
In questi ultimi due anni, mentre l’Europa mandava segnali preoccupati e preoccupanti la regola di questa politica è stata quella di ridimensionare, sminuire, negare.
Nel frattempo non si sono accorti che il sentiero nel quale ci hanno portati e poi costretti a camminare è sempre più stretto e stracolmo di gente che non ce la fa più. Un sentiero che si misura tutti i giorni con l’aumento della disoccupazione, con la chiusura delle fabbriche e con gli altri drammatici segnali, invisibili solo a chi, come i nostri governanti, non vuole vederli.
Come uscirne? Non lo so ma sono sempre più convinto che questa che stiamo vivendo sia davvero una crisi istituzionale senza precedenti anche se il fallimento della politica, cui assistiamo oggi nel nostro Paese, non riguarda solo le istituzioni ma soprattutto la nostra società, costituita evidentemente da troppi cittadini ridotti a sostenitori acritici, passivi e gregari dei partiti e dei capipopolo.
Riflettiamoci