L’anno è finito e non sarà un buon Natale. O almeno, non lo sarà per milioni di italiani. Non soltanto per coloro che, oramai, non ce la fanno più ma anche per quelli che sono in ginocchio; quelli che hanno abbassato la saracinesca, quelli che hanno perso il lavoro, quelli che hanno perso la speranza di trovarlo.
Tutti a terra, sconfitti.
Feriti da un Governo che con le sue giuste o sbagliate manovre, taglia i servizi e tassa il popolo. Annientati da una classe politica che invece di lasciare per non aver fatto, praticamente, nulla da due anni a questa parte, esulta perché prenderà lo stipendio fino al 2014 dopo aver neutralizzato la minaccia letale che portava il nome di Silvio Berlusconi.
E giù, tutti a dire che dobbiamo andare avanti. Ma per fare cosa?
Sono venti anni che commissioni su commissioni hanno analizzato in lungo e in largo come tagliare la spesa pubblica. Da più di dieci, non riusciamo a dare priorità a quegli interventi che diminuiscano l’imposizione fiscale sul lavoro e sull’impresa. E non parliamo della disoccupazione. Anche in un paese disastrato come la Grecia i dati occupazionali negli ultimi tre mesi sono migliorati. Il tempo è finito.
Qualcuno mi dirà “sei troppo pessimista”. Forse. Ma cosa c’è all’orizzonte?
C’è l’Italia delle manovre economiche, che oramai abbiamo smesso di contare, il Paese di chi è costretto a chiudere le aziende e lasciare a casa – per chi ce l’ha una casa – migliaia di persone, abbandonate al destino di disoccupato senza futuro. Guardiamoci intorno.
Famiglie che stentano a vivere, che bussano, disperate, alla porta dei servizi sociali, chiedendo aiuto. Il tasso di disoccupazione giovanile che cresce e un malessere sociale alle stelle. La disperazione, la miseria, la fatica ad andare avanti, che porta sempre più persone a togliersi la vita.
E allora basta.
Abbiamo bisogno di una politica “nuova” non di nuovi politicanti. Un politica che sappia fare, che la smetta di leggere la rabbia del disagio sociale. Non è una buona politica quella che interpreta le rabbie. La politica, quella che veramente serve a questo Paese, dovrebbe risolvere i problemi che stanno all’origine della rabbia, non farsene un interprete populista.
Siamo feriti nella dignità e nell’orgoglio ma non abbiamo ancora voglia di arrenderci.
Ogni mattina ci alziamo, salutiamo i nostri figli, li portiamo a scuola e cominciamo la giornata come nulla fosse. Milioni di persone, mamme, papà, ragazzi, occupati, disoccupati, dipendenti, imprenditori, precari, che nonostante tutto, a volte delusi e allo stremo, continuano a sopravvivere, a non smettere di sognare, di desiderare.
Non sarà un Natale come tutti gli altri ma io ho ancora voglia di sognare un Paese migliore. Dovremmo farlo tutti perché questo mondo, senza sogni non ha futuro.