Gli antichi consideravano la decapitazione la punzione meno degradante per la vittima, quasi un lusso concesso, essendo veloce e indolore rispetto ad altri metodi che prevedevano una lunga agonia e il pubblico ludibrio. Per secoli continuò ad essere il metodo riservato ai nobili e ai ricchi, si pensi solo alla tragica fine di uomini del calibro sociale di Luigi XIV e Luigi XVI.
Anni di lotte sembrano rivelarsi inutili: quasi come se fossimo in un ciclico ritorno dell’ età di tipo esiodeo, rimpiombiamo vertiginosamente nel terrore per la fine della civiltà e il dominio dell’odio: rimbalzano da settimane notizie di barbare uccisioni in Siria per mano dei miliziani dell’Is, la rete invasa da foto e video terribili, comunicati che portano i numeri dei bambini massacrati. Fino alla chiara rivendicazione dell’uccisione di James Foley, il giornalista americano quarantenne rapito nel 2012 e barbaramente decapitato da John, così l’hanno soprannominato i media, il terrorista dall’accento britannico, forse un ex rapper convertitosi alla causa dei fondamentalisti, comunque un giovane esaltato che contribuisce a infoltire la schiera dell’esercito jihadista. Quella che era solo un barbara esecuzione da dimenticare, vista al massimo nei libri di storia, abolita in quasi tutti i paesi del mondo, diviene il marchio di fabbrica dei miliziani siriani, Foley un moderno Isacco, vittima sacrificale.
Gli esperti lo avevano previsto: un’ eccessiva espozione mediatica del caso, il continuo scorrere delle immagini da un tg all’altro, ma soprattutto la circolazione del video integrale dell’esecuzione in rete avrebbero aumentato esponezialmente il pericolo emulazione: dal post su Twitter un militante dello Stato islamico che si firma @Zklafa, di una foto di un bambino, vestito di nero e con il volto nascosto, mentre stringe con la mano lo scalpo della sua bambola, vestita come Foley con una tunica arancione, nell’altra piccola mano un coltello. A commentare le immagini, la didascalia “procedure e applicazioni esplicative per le future generazioni”.
Ma ancor più scioccante – e quanto mai vicino – la modalità del delitto di via Birmania, nel quartiere Eur di Roma (nella foto, un’immagine delle indagini), dove la morte per decapitazione della giovane domestica ucraina, Oksana Marteseniuk, per mano dell’esperto informatico Federico Leonelli, richiama grottescamente il modus operandi dei terroristi. A confermarlo, le recenti scoperte di un vero arsenale nel seminterrato che ospitava l’assassino, le ossessive ricerche internet su siti che inneggiano alla guerra e alla violenza, l’abbigliamento paramilitare che indossava il giorno dell’omicidio, la volontà di arruolarsi a Gaza come mercenario.
Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di salute mentale e neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, riconosce nel delitto romano numerosissime congruenze che lasciano ipotizzare facilmente la suggestione che il proliferare di immagini del genere possa aver generato su una mente già perversa come quella di Leonelli. Il rischio emulazione sale alle stelle, e potrebbero esserci altri casi. Paura espressa anche dalla professoressa Donatella Mazzariti, docente di psichiatria all’Università di Pisa, che ha dichiarato: “Mi auguro che ci sia cautela da parte dei media nel diffondere le informazioni. Il rischio per le persone fragili è quello dell’emulazione. L’auspicio è quello che si eviti di insistere su dettagli e particolari.”
E la docente riflette anche sulla recente “escalation di aggressività”: apprendere ogni giorno, in maniera ossessiva e insistente, la descrizione di certi fatti criminosi e la visione soprattutto di certe immagini, è un pericolo per tutti, non solo per le menti più deboli. “Bisognerebbe evitare descrizioni morbose e non dimenticare mai la pietà. Certo – conclude -, questo senza nulla togliere al diritto di informazione di voi giornalisti e al nostro diritto di essere informati”.