CALVANICO (SA) – Sembrava leggenda, invece è realtà: negli ultimi anni il ritorno dei giovani alle campagne si fa sempre più tangibile. Un modo così innovativo nella sua banalità da rivelarsi la chiave giusta per aprire la porta dell’anti-crisi, capace di soddisfare bisogni personali ma anche di combattere lo sfruttamento del territorio e proporre servizi utili per le intere comunità e creare occupazione.
Quando poi alla zappa e ai germogli si unisce l’uso della tecnologia, la sfida si fa ancora più avvincente e, soprattutto, vincente: è il caso del progetto Rural Hub che, sui monti picentini, nel cuore pulsante dell’antica Campania felix, non lontano della Costiera, unisce tecnologia, innovazione sociale e agricoltura sostenibile.
I collaboratori al progetto sono agricoltori, ma anche consulenti d’impresa, attivisti, esperti informatici, ricercatori, che hanno fatto di quel territorio il loro quartier generale. Rural Hub mira a modificare il panorama imprenditoriale del settore agroalimentare italiano al grido di battaglia di “Glocal”: termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, agevolando la creazione o distribuzione di prodotti e servizi ideati per un mercato globale o internazionale, ma modificati in base alle leggi o alla cultura locale attraverso l’uso di tecnologie di comunicazione elettronica.
Nata nel 2011, Rural Hub vuole fornire ai giovani agricoltori gli strumenti utili per costruire un progetto imprenditoriale che sia sostenibile non solo dal punto di vista sociale ed ambientale ma anche dal punto di vista finanziario, ispirandosi alle start-up sul modello del “business model canvas”, pensato per le imprese immateriali e molto in voga nella Silicon Valley, riadattandolo per le imprese rurali.
Al progetto si avvicinano realtà e idee diverse: c’è chi si focalizza sul prodotto – è il caso di coloro che si sono votati al recupero dei grani autoctoni -, come ad esempio il progetto #Campdigrano, nato da un’idea della comunità del grano e dalla ProLoco di Caselle in Pittari, un piccolo paese del Cilento: insieme a Rural Hub hanno recuperato un seme di un’antica varietà di grano del mediterraneo, adatta anche ai celiaci.
Lo scopo insomma è produrre prodotti di qualità, che rispondano a due idee fondamentali: cibo come narrazione identitaria, da riscoprire nella sua unicità e qualità, e la promozione di prodotti a chilometro zero, favorendo l’alimentazione sana e la redistribuzione economica nella comunità.
C’è poi l’attenzione ai vecchi mestieri. Recentemente è stata organizzata una scuola estiva sull’arte di produrre il carbone come una volta. Al corso sono intervenuti un chimico, un fisico e Giuseppe Erra, l’ultimo boscaiolo dei Monti Picentini. Studenti provenienti da tutto il mondo hanno imparato a costruire le pire e incendiare la terra per produrre il carbone in modo naturale: dalla scuola è nata una start-up di un gruppo di ragazzi locali, la ‘O’ Catuozzo’, dal termine dialettale utilizzato per indicare la pira. Un altro progetto, in corso, riguarda la messa a punto di un sistema di sensori per allontanare i cinghiali dai campi al posto dei pericolosi fili elettrici.
Ognuno ha un ruolo, e svolgere bene il proprio compito è fondamentale per il buon funzionamento di tutto il meccanismo. Rural Hub si rivela essere non solo una fucina continua di idee, ma soprattutto un modo innovativo per affrontare e risolvere piccoli inconvenienti quotidiani del mondo rurale con l’ausilio della tecnologia. Favorisce in primis le piccole imprese e il benessere del territorio, poi si rivolge alla grande distribuzione. Il giovane laureato, che ha alle spalle anni di studio, ma magari non ha mai fatto un giorno di lavoro, si confronta con il coetaneo che ha, a sua volta, l’esperienza quotidiana nell’impresa di famiglia o come operaio, ed è questa collaborazione schietta e diretta che fa la vera differenza.
Qualcosa si muove tra questa generazione senza più futuro, senza speranza, così “choosy”, eterni bamboccioni. Istituzioni, la sentite questa nuova energia?