Abbiamo ripreso tutti a camminare, sia pure lentamente. Le cantate dai balconi sono state forse l’ultimo atto di una lunga catena di cortesie fra vicini che, mai come in questi mesi, si sono affacciati tutti insieme e ripetutamente a prendersi per mano, in attesa di quel picco che doveva segnare la fine di un incubo da cui tutti cercavamo di destarci.
Io ho vissuto un solo, grande, evento “straordinario” nella mia vita. Il terribile terremoto che devastò la mia amata Irpinia. In quell’occasione toccai con mano il senso di precarietà, l’angoscia continua per il susseguirsi delle scosse, il silenzio surreale delle nostre strade e della piazza dove ancora oggi abito. Ma non ricordo, sinceramente, di aver provato la paura che in questi due lunghi, interminabili mesi mi ha sovrastato completamente.
Questa volta, come in un film surreale, mi sono ritrovato chiuso in casa, con il Mondo completamente fermo, a combattere contro un nemico invisibile. Un virus silenzioso che ha messo in discussione ogni certezza, fatto traballare tutte le speranze e che come un colpo di ramazza ha praticamente spazzato via quel velo ipocrita che copriva le lacune di un mondo alla deriva, di un sistema logoro e oramai poco funzionale.
È stato in questo spaventoso silenzio che mi sono affacciato al balcone di casa. Ammettiamolo, ha fatto a tutti uno strano effetto vedere e sentire, cosi tanta gente sui propri balconi, cantare, pregare, applaudire e talvolta, anche, piangere. E tutto questo semplicemente per rompere quell’atmosfera di depressione generale che ci aveva avvolto. Rapiti, come eravamo stati, da un virus che ci aveva inchiodati in casa.
Siamo diventati tutti più buoni. Ogni giorno in ansia per qualcuno, sempre a chiedere di chi fosse malato, pronti a pregare per chi era stato appena contagiato. E così, tutti insieme anche a chilometri di distanza, ci siamo tenuti per mano contro la paura. Una delle manifestazioni più belle e spontanee della bontà umana. Prima del coronavirus correvamo tutti come matti, non ricordo di aver mai vissuto qualcosa di simile. Tanto che ora non ho più dubbi: per indirizzare, in una sola volta, così tanti uomini verso la bontà ci vuole la paura.
Proprio così. La paura di contagio che, ancora prima di frantumare tutte le nostre abitudini, ci ha fatto scoprire la semplicità. Probabilmente la stessa paura che tante volte, troppe, ci aveva fatto diventare diffidenti verso il prossimo, questa volta ci ha fatto capire che insieme saremmo stati più forti ma soprattutto che la solidarietà è un bene prezioso, capace di aiutarci ad uscire dalle nostre angosce e incertezze. Dovremmo custodirli gelosamente questi insegnamenti. In questi giorni difficili e in tutti quegli altri che verranno non dimentichiamoci del virus della paura.