Colossi mediatici, insufficiente consistenza. Non è questo il mondo che desidero per quanti, dopo di me, proveranno a conquistare un punto, minuscolo, appartato, in questo posto. Seppure siano trascorse poche lune dalla tanto decantata Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, non mi esonero dall’esprimere delle considerazioni.
Che si tratti di un’inclinazione ad anatomizzare le minuzie della giornata solo al termine della stessa quando, presa dalla frenesia di tirare le somme, lo sguardo è critico, analitico quasi, o di sano distacco emotivo, è bene fare chiarezza. La giornata- ed è certo- viene al mondo per attorniare un intento pregevole, lampante, se non fosse che, invece, è sfociata in un esibizionismo dozzinale e retorico, del quale l’apogeo risiede, a mio avviso, negli spot pubblicitari. Anacronistici e orrendamente epidermici.
L’ottica che inquadrano è, di fatto, una non-realtà, parecchio lontana dallo status quo. Più esattamente, ad accostarli tutti è, senz’altro, il richiamo a denunciare e a comporre il 1522, numero anti violenza e stalking, amaramente noto. Eppure, secondo la commissione parlamentare sul femminicidio, gran parte delle donne segnala. Invoca aiuto. Querela. Proprio il suo assassino. Strambo, non è vero?
Donne, io osservo le foto e le frasi che il venticinque novembre –solo il venticinque novembre– ognuno ci tiene a postare.
Ma poi si abbassa il sipario. Calano le luci. Squadro le scarpette e le panchine rosse disseminate in ogni piazza d’Italia. Voi, però, siete indifese, disarmate. Non vi tiene segregate solo la forza ma anche la faciloneria che strimpella, fa rumore. E uccide.
È questa la sola ed unica realtà.