Classe 1997, Malala Yousafzai è la più giovane donna candidata al premio Nobel per la pace. Sembra incredibile che dietro quel viso da bambina si celi tanto coraggio e tanta tenacia. Ha solo tredici anni Malala, quando comincia a scrivere un blog per la BBC Urdu sotto pseudonimo, al fine di documentare il regime dei talebani pakistani, intenti a limitare ogni diritto alle donne. In primis l’arma più potente per la dissidenza: l’istruzione. Malala non ci sta: raccontare scrivendo diventa la sua arma per combattere.
Tentano di zittirla per sempre quando, mentre torna da scuola con l’autobus, colpi d’arma da fuoco la colpiscono al collo e alla testa. Non è un caso: è un attentato rivendicato dai talebani. La ragazza è rea d’essere simbolo “dell’infedeltà e dell’oscenità”. L’ospedale di Londra si offre di curarla. La piccola Malala guarisce, è forte, più di prima. Continua a studiare, s’iscrive alla Edgbaston high school for girls di Birmingham. Nel giorno in cui compie sedici anni, Malala realizza un sogno: tiene un discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, chiedendo impegno per il diritto all’istruzione dei bambini e per i diritti, troppo facilmente violati, di ogni donna.
Il 12 luglio di quest’anno Malala ha compiuto diciasette anni. E come se fosse ormai un giorno simbolo, la giovane pakistana anche stavolta ha lasciato che il suo giorno speciale fosse segnato da qualcosa di altrettanto speciale: è volata in Nigeria per incontrare le famiglie delle 219 studentesse cristiane ancora ostaggio del gruppo estremista Boko Haram, per essere convertite all’Islam e usate come “merce di scambio” per ottenere la liberazione dei membri di Boko Haram denenuti nelle carceri nigeriane. Sessantatrè ragazze sono fortunatamente riuscite a fuggire.
Malala ha espresso il desiderio che le studentessse rapite siano liberate e possano continuare a studiare, affinché ogni bambino abbia la possibilità di istruirsi per cambiare il mondo: “A tutte le bambine nigeriane, africane e di tutto il mondo: tu sei meno di un bambino. Tu sei meno di un figlio nato in un Paese ricco e potente. Tu sei il futuro del tuo Paese. Tu lo stai rendendo forte e sei tu che puoi portare il cambiamento”, ha dichiarato. Ha rischiato la sua sicurezza, già violata più volte, per essere lì, fisicamente, e riportare l’attenzione dei governi sulla tragica situazione di queste ragazze sue coetanee.
L’ONU le ha dedicato il 12 luglio, istituendo il “Malala Day”, ma lei ha dichiarato: “Il ‘Malala day’ non è il mio giorno. Oggi è il giorno di ogni donna, ogni ragazzo e ogni ragazza che ha alzato la voce per i propri diritti. Alzo la mia voce non perché io possa gridare, ma in modo che coloro che non hanno una voce possano essere ascoltati”.
Così giovane, così coraggiosa: dovrebbe essere lei il vero modello per noi giovani donne.
Per contribuire alla petizione lanciata on – line, metti la tua firma: www.plan-italia.org/petizione-bring-back-our-girls