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giovedì, Gennaio 23, 2025
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La favola dei ragazzi del Taranto e la vergogna dei “calciatori” del Venticano

Venticano- Domenica sono andato al Partenio, ad assistere all’ultima gara di campionato dell’Avellino e al termine della partita, mi sono recato in sala stampa, per le interviste di rito. Ho ascoltato Bucaro, qualche calciatore e, per caso, anche Davide Dionigi, l’allenatore del Taranto. “Sul campo – ha detto il mister – abbiamo vinto noi il campionato e questo è un mio motivo di orgoglio ma c’è una favola, ancora più bella, di cui nessuno parla ed è quella del Taranto. Questi ragazzi, senza un solo stipendio, hanno fatto 70 punti in un’annata difficilissima, conquistato 24 risultati utili consecutivi con la miglior difesa di tutta Europa. Un gruppo meraviglioso, una squadra che ha dei principi morali enormi. Dodici di loro, a gennaio erano in scadenza di contratto, senza stipendi e senza futuro potevano andare via. Sono rimasti tutti e hanno voluto metterci la gamba, fino alla fine”.

Una favola bellissima ed incredibile, alla quale ho pensato molto in questi giorni quando ho appreso che a soli 268 chilometri da Taranto, se ne racconta un’altra di storia; questa, però, più triste e vergognosa. E’ quella del Venticano calcio, una società – apprezzata e conosciuta – che milita da anni nel Campionato di Promozione e che domenica prossima è chiamata a disputare la sfida più importante della sua stagione – quella dei play-out, ad eliminazione diretta -, contro il San Martino Valle Caudina, senza i suoi calciatori e senza lo staff tecnico che, in questa settimana, hanno abbandonato la società e sono andati via, pare, per non aver, ancora, ricevuto qualche stipendio.

Mister Spica, il suo collaboratore Corbo e i componenti più esperti della rosa, tra i quali Capone, Cardillo, Scarpa e Palmieri, quando mancano una manciata di giorni alla gara, hanno puntato il dito contro la società, del Presidente Nardone, e sono andati via.

Per carità, ognuno è libero di comportarsi come crede, nel calcio come nella vita. A noi, però, che parliamo di calcio e del calcio siamo ancora innamorati, piace guardare di più a quella favola e crediamo che questa gente non dovrebbe più allenare o giocare a pallone. Nel rispetto di quella leggenda che si racconta sullo Ionio e, perché no, nel rispetto di chi, da mesi, non percepisce uno stipendio e tutte le mattine, con grande sacrificio, dedizione e lealtà, si alza presto – non per andare a giocare, bensì – per andare a lavorare; in ufficio, in fabbrica, nei campi.

Questi ragazzotti di bell’aspetto, sempre vestiti alla moda, spesso tatuati, proprio come accade nel mondo del calcio che conta e che tutti i giorni vediamo in televisione, hanno imparato solo a chiedere. Noi, sempre per quella favola, crediamo, invece, che prima di indossare una maglietta ed un paio di scarpini, prima di studiare e far studiare tecniche e tattiche di calcio, queste persone dovrebbero imparare a comportarsi da uomini veri e giocare fino all’ultimo secondo in silenzio, senza rumore. Di rumore c’è n’è  fin troppo.

Il rumore dell’amore per la maglia, ecco cosa manca in questo calcio ad alta velocità.

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